lunedì 28 gennaio 2013

Paolo Papa e il suo Ragazzo combattente

Un esempio della maestria di Paul Pope.
L'incredibilmente iper-talentuoso PAUL POPE (che per l'occasione "rinomino" affettuosamente in Italiano come Paolo Papa, stante anche la sua nota ammirazione per i nostri Hugo Pratt e Guido Crepax :)) pare si sia finalmente deciso. Così, dopo anni che se ne parla, ad Ottobre la First Second Books dovrebbe (dico "dovrebbe" perché sono un po' come San Tommaso) dare alle stampe il primo volume (dei due previsti) dell'attesissimo Battling Boy (Il Ragazzo Combattente): "un nuovo eroe per il XXI Secolo", a detta di Pope.
La genesi del progetto risale a qualche anno fa, quando Pope stava lavorando, insieme al regista Stephen Daldry e allo scrittore Michael Chabon, all'adattamento cinematografico de Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, progetto al momento in stand-by. L'autore incominciò a riflettere sulla natura dei supereroi e sulla mitologia. "Iniziai a pensare: Di che genere di Superman abbiamo bisogno al giorno d'oggi?" La risposta? "Credo che ai ragazzi piacerebbe tantissimo vedere un ragazzino che uccide mostri."
Nel seguito (e in apertura di post) qualche tavola d'anteprima. Per ingolosirci durante l'attesa.
 
 
L'arte di Paul Pope
Una preview più estesa può essere vista sul sito EW.com: qui.
Mentre qualche altro materiale è disponibile sul sito di Pope, in una pagina dedicata al progetto: qui.

Con straordinario tempismo Bao Publishing ha annunciato che nel corso del 2013, probabilmente in contemporanea con l'edizione di lingua Inglese, i lettori nostrani potranno godersi l'edizione Italiana. (qui).
Non resta quindi che attendere qualche mese... e poi, tutti al fianco di... BATTLING BOY! :)

giovedì 17 gennaio 2013

(dal passato) fumosi fumetti monodose

Qualche anno fa, tra il 2007 e il 2008, ho collaborato con tre storie a Mono, l'interessante rivista di "fumetti di una tavola", edita da Tunué.
Mi sono accorto solo ora, mentre una nuova short a fumetti è completata (ma questa è un'altra "storia"!), che di due su tre mono-tavole, nonostante ne abbia parlato, non ho mai mostrato la versione finale, per lo meno in Italiano.

Così, in apertura di post, potete vedere la tavola realizzata per Mono N.2, con il prezioso contributo di ben 9 disegnatori: Celoni, Dall'Oglio, Maconi, Fior, Raffaele, Ponchione, Catacchio, Oskar e Semerano. Ne avevo già parlato qui e qua.

Per il N.3 invece la collaborazione fu con l'inglese Chris Weston per un atipico "noir" in una tavola, di cui avevo rivelato qualcosa qui. Sotto potete apprezzare, per la prima volta, la storia  in Italiano (in Inglese invece potete leggerla qui).
La terza e ultima (finora) collaborazione con Mono, mi portò invece a lavorare con Luca Enoch: di questa avventura potete ammirare tutto il making-of, fino alla pagina finale, QUI.

Come dite? Ah, il nuovo fumetto? Curiosi?
Prometto che prossimamente ve ne parlerò! Parola di smoky! :)

domenica 6 gennaio 2013

Romanzi, Magia, il Tempo, l'Arte e molto altro: un'intervista con ALAN MOORE

Alan Moore fotografato da Phil Fisk.
Arriva un Nuovo Anno (che non si sa bene dove ci porterà) e... con colpevole ritardo, ecco a voi la traduzione di un'interessante intervista al (solito) ALAN MOORE apparsa nel corso del 2012 su Paraphilia Magazine (pp. 71-80), condotta da D M Mitchell, che ringrazio sentitamente per il permesso accordatomi e per la paziente attesa.

Per maggiori informazioni consiglio di visitare il sito della rivista (QUI).
Il numero specifico può essere letto in originale scaricandolo da Issuu (QUI).
Buona lettura!

“Atavica rinascita” e l'animalesca coscienza primitiva: un'intervista con ALAN MOORE 
di D M Mitchell

Pensare a delle domande appropriate da porre ad Alan Moore può essere una faccenda da far tremare i polsi. Chi lo conosce, o quanto meno ha familiarità con i suoi  lavori, sa che Alan è in grado e disponibile a trattare di qualsiasi argomento. E spesso riesce a farlo con straordinaria intelligenza e senza alcuna auto-celebrazione, aspetti davvero rari (stante la mia esperienza) in uno scrittore. La sua mente possiede sia un’incredibile acume sia una capacità sconcertante nel memorizzare e assimilare informazioni.

Di persona ho sempre trovato che fosse oltremodo generoso. D'altra parte, le persone che hanno sconsideratamente fatto conoscenza con il suo lato sbagliato sanno troppo bene quanto possa essere fiero e inflessibile quando è arrabbiato. Quello che non viene solitamente percepito è che Alan ha anche un lato vulnerabile e fallibile che, allo stesso tempo, colpisce e sorprende in una persona che ha pianificato la struttura di opere monumentali come Watchmen e From Hell.

L’ “umano” Alan Moore è l’Alan Moore che ha dimenticato l’unica stesura (del fumetto perduto) Yuggoth Cultures sul sedile posteriore di un taxi; la stessa persona che ha anche smarrito il mio numero perché l'aveva scritto sul muro accanto al telefono e poi ci ha passato sopra una mano di vernice e che, una volta, mi ha lasciato dormire nel suo letto (perché lui stava dalla sua fidanzata Melinda!) dopo una serata alcolica a Northampton. La sera stessa ho anche vomitato copiosamente nel bagno di Alan, un evento che ho pensato di trasformare in uno slogan per una serie di T-shirt, ma non sono mai riuscito a trovare le parole giuste. Comunque… Posso personalmente testimoniare che non solo Alan Moore è umano, ma è anche un fottuto bravo ragazzo!

Alan Moore è un paradosso poiché è una persona saldamente ancorata al “carnale” e al “terrestre” (anche nei suoi scritti di carattere magico e Cabalistico) e, al contempo, sempre in contrasto con il piano fisico; o per lo meno, con quella parte di esso che vorrebbe la creatività asservita al commercio. Forse è semplicemente troppo “grande” per vivere in un solo mondo?

Sapendo quanto Alan fosse occupato con una moltitudine di progetti recenti (il suo romanzo Jerusalem, la  rivista Dodgem Logic e numerose serie a fumetti) ho mantenuto le mie domande al minimo, eppure Alan ha trovato il tempo per lunghe risposte. Ciò che più mi sorprende, rileggendo questa intervista, è quanto ricalchi l'intervista che gli feci a Northampton nel febbraio 1994, che è apparso in Rapid Eye N. 3 (Creation Books). Forse siamo tutti (come suggerito da Hofstadter) poco più che “strani loop”.
Alan Moore, grazie per il tuo tempo e per la tua disponibilità.
Copertina di Rapid Eye N. 3
Come procede il tuo nuovo romanzo? Quando pensi che sarà pronto?
Personalmente, penso che stia venendo abbastanza bene considerando che avevo dei forti dubbi quando l'ho iniziato. Al momento sto lavorando al capitolo 31… il romanzo avrà 35 capitoli e credo che questo non sia di grande aiuto per prevedere quando sarà finito. Questa incertezza si basa principalmente sul fatto che quando ho raggiunto la fine del capitolo 23 e quindi la fine del “secondo” libro, mi sono reso conto d’essere completamente esausto e che se non avessi fatto qualcosa di radicale con il terzo libro quel senso di svuotamento si sarebbe riflesso sulla scrittura, e sarebbe stato disastroso. La mia soluzione è stata quella di alzare la posta per il terzo atto, facendo sì che, in qualche modo, ciascuno degli ultimi undici capitoli fosse nuovo e sperimentale, rendendomi il lavoro molto più difficile ma garantendo che non potessi far altro che dare il meglio di me stesso per raggiungere l’obiettivo. Sai, ri-leggendo quelle ultime due frasi ho realizzato, con un certo ritardo, che questa è probabilmente una delle più risibili tattiche della mia strategicamente imperscrutabile vita, ma d'altra parte sembra stia dando dei risultati. Il Capitolo 29 è un’opera teatrale di due ore nello stile di Samuel Beckett in cui lo stesso Beckett è uno dei personaggi; il capitolo 30 è una sorta di omaggio alla New Wave della fantascienza inglese degli anni Sessanta e Settanta; mentre il capitolo che sto scrivendo è una performance resa come un flusso di coscienza da uno dei personaggi, in cui cerco di esplorare il nuovo atteggiamento di cui avremo bisogno verso questioni come il vizio, la virtù, il bene e il male, se, per caso, quello in cui viviamo si rivelasse essere un continuum spazio-temporale in cui qualsiasi possibilità di “libero arbitrio” - per come noi lo concepiamo - fosse escluso dalle leggi della fisica (e personalmente io credo sia così). Credo che potrei completarlo entro l'inizio del prossimo anno, e poi avrò bisogno di almeno un paio di mesi per revisioni o modifiche di altro tipo che andranno fatte, e dopo passerò a completare il disegno per la copertina. Quindi suppongo che la risposta breve alla tua domanda è che una tua previsione sarebbe buona quanto una fatta da me.

Ci sono delle connessioni col tuo precedente romanzo La Voce del Fuoco?
È ambientato a Northampton, come La Voce del Fuoco ma tratta di una zona molto più piccola della città. Detto questo, ci sono un sacco di capitoli del libro precedente ambientati entro i limiti della zona in cui vivo, Boroughs, e questa è la stessa ambientazione di Jerusalem, quindi suppongo che la gente possa ragionevolmente aspettarsi qualche sovrapposizione. Ma per come è andata, sono in numero minore rispetto a quanto si potesse aspettare. Quando ho iniziato a scrivere Jerusalem credo intendessi fare più di un riferimento a spettrali cani neri e parlanti teste su picche, ma, come il romanzo ha trovato la sua “voce” c’è stato via via sempre meno spazio per loro. Ci sono alcuni luoghi che ritornano, ed è ovviamente inevitabile, e ci sono un paio di soprannaturali scene di massa in cui un personaggio de La Voce del Fuoco potrebbe, nel caso, muoversi sullo sfondo ma, in generale, sto tenendo i due libri separati, in modo che non ci sia bisogno di leggerne uno per apprezzare l'altro. L’unico elemento per cui Jerusalem è un sequel de La Voce del Fuoco è il fatto che questo secondo romanzo utilizza la stessa materia di base del primo… vale a dire, i luoghi in cui sono cresciuto, la loro Storia e i miei legami personali con loro.. ma tratta questo materiale con una serie completamente diversa di tecniche narrative in modo da plasmarlo in una struttura molto più enciclopedica. Oh sì, e John Clare è presente sia nel capitolo 26, che è il capitolo su Lucia Joyce, e nel già citato pezzo in stile Beckett del capitolo 30. E naturalmente, in entrambi i romanzi anche io sono tra i personaggi ma in Jerusalem sono travestito e fingo d’essere una donna così a nessuno potrà venire in mente che possa essere io. 
Prima edizione di Finnegans Wake pubblicata nel 1939
Quali sono le differenze tra quello che stai facendo e quello che ha fatto Joyce nell’Ulisse, che è anch’esso ambientato in un singolo luogo?
Credo che la più grande differenza è che Joyce (per qualche ragione) non ha ritenuto di rendere la parte centrale dell’Ulisse un allucinogeno e impropriamente terrificante racconto per ragazzi. Oltre a questo, sto arrivando alla conclusione che in quella che, credo, viene chiamata la "Letteratura dei luoghi”, i posti sono forse più responsabili della scrittura di un libro dello stesso autore. È forse un’idea eccentrica ma credo che in qualche modo l’Ulisse facesse “parte” di Dublino e fosse solo in attesa che Joyce lo portasse alla luce. Lo stesso si potrebbe dire per gran parte delle storie di H.P. Lovecraft che erano “parte” del paesaggio del New England, oppure de La casa sull’abisso che era, in qualche modo, legata alle coste occidentali dell'Irlanda che Hodgson aveva visitato. (In realtà, l'ultimo esempio rappresenta la prova migliore per la mia teoria, onestamente, un po’ debole: Iain Sinclair mi diceva che, apparentemente, Iris Murdoch aveva visitato lo stesso tratto della costa irlandese e, senza aver mai letto né mai sentito parlare de La casa sull’abisso scrisse un romanzo che era stranamente simile a molti di quei temi e a molti dettagli della trama.) Curiosamente, al primo capitolo di Jerusalem, un prologo intitolato Work in progress, ho dato quel nome e l’ho scritto prima di rendermi conto che quello era il titolo di lavorazione che Joyce usò per Finnegans Wake.
Una volta fatto, in ritardo, il collegamento, l’ho rafforzato rendendo la luminosa figlia di Joyce, Lucia (che ha trascorso più di trenta anni nel manicomio accanto al liceo che ho brevemente frequentato negli anni Sessanta), la protagonista del capitolo 26, che avevo già provvisoriamente intitolato Round the Bend [espressione inglese che significa “pazzo”, N.d.T.]. Oltre a questo, non so quanto più chiaramente possa indicare delle differenze profonde con l’Ulisse se non affermando un’ovvietà e rimarcando che Joyce è stato uno scrittore di gran lunga migliore di me.

Pensi che qualsiasi evento storico documentato possa essere visto come un palinsesto?
Certamente potrebbe essere visto come un palinsesto, anche se, considerando che una parte consistente di Jerusalem è una disquisizione contro il concetto che esistano dei momenti “discreti” nel tempo… o persino che il tempo stesso esista realmente… allora, al momento, direi che tendo più a vedere il processo storico non tanto come un palinsesto ma più come una forma o una struttura d’accumulo come risulterebbe, ad esempio, dall’uso dell’attuale tecnica di stampa 3D. D’altra parte, personalmente mi piace molto la parola “palinsesto” perciò non avrei comunque molto da lamentarmi. Di sicuro non inizierei una lite per questo.

Il concetto di “tempo” inteso come qualcosa di diverso rispetto a come lo percepiamo (o come siamo stati condizionati a percepirlo) nelle nostre vite di tutti i giorni, è un concetto prevalente in molte delle tue opere. A parte i tuoi romanzi, ci sono La Lega degli Straordinari Gentlemen, Promethea, From Hell e non dimentichiamo il Dr. Manhattan. Come sei arrivato a questa tua percezione del “tempo”?
In realtà, se la mia visione del tempo - come un solido eterno composto da almeno quattro dimensioni in cui il movimento e il cambiamento sono solo una illusione prospettica originata esclusivamente dalla limitata consapevolezza dell’uomo - è vera, allora diventa problematico parlare di come sia arrivato a questa percezione, visto che un arrivo implica un tragitto lineare e di conseguenza, una concezione lineare del tempo. Nella mia personalissima visione delle cose, sebbene fossi già incappato in idee che prendevano in considerazione concezioni diverse del tempo e del suo passare ed aver persino usato quelle idee nei miei primi fumetti, direi di non aver mai “posseduto” un concetto “profondo” fino alla mia prima esperienza magica il 7 Gennaio 1994, come brevemente descritto nel racconto Unearthing che scrissi per City of Disappearences, l’ottima antologia curata da Iain Sinclair e che poi è stato sviluppato nell’album e nel box-set pubblicato da Lex Records.
In pratica, durante quell’esperienza mi sono reso conto di quello che implicasse il concetto di spazio-tempo visto come un solido a quattro dimensioni, e ho realizzato tutto questo in un modo molto potente e personalmente pieno di significato. Ho capito, a quel punto, che i modi in cui avevo in precedenza trattato l’argomento - in Watchmen, From Hell e in vari episodi di Futuri Incredibili - potevano essere visti, forse romanticamente o forse letteralmente, come una sorta di pre-memoria che viaggiava come un onda attraverso il tempo in entrambe le direzioni a partire da quel momento di “realizzazione”. In sostanza, l’uso di quell’idea prima di quel momento dovrebbe essere vista come degli intuitivi “spari nel buio”, mentre quanto fatto in Promethea o dopo è il risultato di una esplorazione più consapevole e diretta di quel concetto.

William Blake è, senza dubbio, una figura importante per te. Lo stesso titolo Jerusalem è un ovvio riferimento. Quanto dei contenuti del romanzo sono legati alla visione e alla filosofia di Blake?
Sebbene William Blake sia, certamente, in cima alla lista, ci sono in realtà diverse ragioni per cui il romanzo si intitola Jerusalem. Almeno un paio delle prime crociate partirono dal castello di Re Giovanni che si trova all’angolo della strada in cui sono nato, inclusa la famosa spedizione di Riccardo Cuor di Leone. Il Barone reggente di Northampton, Simon de Senlis, costruì l’ancora esistente Chiesa del Santo Sepolcro in Sheep Street sul controverso modello del tempio di Salomone a Gerusalemme. Da un punto di vista metaforico, l’idea di Gerusalemme come uno stato spirituale dell’essere che un giorno si sarebbe realizzato sulla Terra era preminente nella visione di John Bunyan di Bedford che combatté al seguito del New Model Army di Cromwell e passò spesso per Northampton durante le campagne di predicazione. La moltitudine di dissidenti credi religiosi che trovò casa nella Northampton del XVII secolo e supportò Cromwell nella battaglia decisiva di Naseby credeva fermamente che una Gerusalemme materiale sarebbe stata fondata nel corso della loro vita, e i rifugiati che salparono alla volta del Nuovo Mondo scappando dall’orribile Northampton del periodo, come le famiglie Washington e Franklin, speravano tutti che lo stesso potesse avvenire nella loro nuova Patria. Jerusalem come inno è un altro dei temi ricorrenti del romanzo, visto che esamina come gli inni Inglesi furono inizialmente cantati nelle cappelle ribelli (con probabili infiltrazioni Lollarde) di Northampton durante il regno di Elisabetta I e prende in considerazione altri inni, rilevanti a livello locale, come Hark, the Glad Sound di Phillip Doddrige e Amazing Grace del Pastore John Newton.
Comunque, come ho detto, William Blake è di gran lunga il principale riferimento. Una delle idee principali del romanzo è l’implicazione dell’inno di Blake e Parry che “fra questi oscuri mulini satanici” sia forse l’unico posto possibile in cui Gerusalemme possa essere fondata: in strade e spazi piacevoli non hanno davvero bisogno di Gerusalemme e non la stanno cercando. Considerando il concetto di tempo a cui ho accennato in risposta alla domanda precedente, potrebbe implicare che tutto e tutti contenuti in un eterno spazio-tempo solido sono anche loro eterni, e questo comporterebbe che i nostri più miseri e indigenti distretti sono potenzialmente delle città eterne popolate da ignari immortali. Ci sono inoltre degli altri temi che legano Jerusalem a Blake, tra questi il fatto che alcuni antenati dei miei genitori arrivarono nel Boroughs a Northampton dopo aver vissuto a Lambeth, che è anche il luogo natale di un altro dei personaggi del romanzo, ossia Charles Chaplin. Tutti questi differenti fili siano stati messi insieme in Jerusalem ma, se siano stati messi insieme come un cangiante arazzo oppure come uno sgraziato gomitolo di filato ingarbugliato, spetterà al lettore deciderlo. 
Iain Sinclair (sx) e Norton (dx), nella versione apparsa su La Lega.
Quanto sei stato influenzato da Iain Sinclair? Ha fatto anche un’apparizione (come Norton) nel fumetto de La Lega.
Direi che la scrittura di Iain Sinclair è probabilmente tra i maggiori incantesimi in cui sia caduto durante la mia carriera. Essere in grado di scrivere in maniera così splendida e originale con un incredibile livello di densità intellettuale è stato per molti anni tutto quello che ambivo di poter fare. Credo che si possa vedere l’influenza di Iain in From Hell e nell’ultimo capitolo de La Voce del Fuoco, e anche nelle performance-reading legate alle produzioni Moon & Serpent, fino ad Unearthing. Nel caso di Jerusalem, credo di star facendo uno sforzo concertato per scrivere in modi diversi e espandere il racconto in altre aree, anche se questo non deve essere certamente considerato come un rifiuto di tutte le cose incredibili che ho imparato dalla scrittura di Iain, piuttosto è un tentativo di esplorare da solo, in modo più approfondito, qualche altro territorio usando ancora il lavoro di Iain come standard di riferimento riguardo al livello di intensità, intelligenza e di concentrazione che uno scrittore dovrebbe mettere nel suo lavoro. Riguardo l’apparizione di Iain come Norton nella recente continuity de La Lega, penso che gli sia piaciuta anche se ha avuto da ridire sul fatto che gli abbiamo dato l’aspetto di uno scheletrico dentista nazista. In effetti, ho utilizzato quella sua lamentela nei dialoghi di Norton nel capitolo ambientato nel 2009, dal momento che credo fermamente che si debba garantire alle persone il diritto di replica.

Al momento sembra stiamo vivendo “tempi interessanti” su scala globale. Hai la sensazione che sia un periodo migliore o peggiore se rapportato a precedenti epoche storiche?
Davvero non so come qualcuno potrebbe valutare se il nostro attuale momento storico sia migliore o peggiore di quelli che l’hanno preceduto, ma credo che sarebbe corretto dire che è, ovviamente, un periodo molto differente. Il principale elemento di differenza è la quantità di informazione, di gran lunga superiore, a cui la nostra specie ha accesso, e la conseguente maggiore complessità che ha accompagnato questo ininterrotto accumulo. Ovviamente, da un certo punto di vista tutto questo potrebbe essere considerato come una cosa positiva in quanto, tra tutta questa massa di informazioni, ci potrebbero essere, molto probabilmente, le soluzioni a tutte le varie, attuali crisi globali. Dall’altro canto, con gli individui e il loro senso d’identità sul punto di crollare e di collassare sotto il peso di una complessità per la cui gestione non hanno mai acquisito gli strumenti psicologici, potrebbe essere una cosa davvero brutta. Da un lato abbiamo i fondamentalisti religiosi e i nazionalisti d’estrema destra che reagiscono all’inarrestabile onda del cambiamento puntando aggressivamente i piedi nel tentativo di difendere le loro visioni del mondo che collassano, a volte in maniera violenta. Dall’altro lato ci stiamo sempre più avvicinando a una compressione migliore e più sofisticata del nostro mondo e del nostro universo e siamo, a denti stretti, spinti a tirar fuori nuovi e ingegnosi modi per gestire sia l’aumento della popolazione che la diminuzione delle risorse.  Direi che la crescita esponenziale della complessità non è né una buona cosa né una brutta cosa: è semplicemente… una cosa; una condizione dello scenario in evoluzione dell’umanità, e spetta solo a noi rapportarci e confrontarci con esso se vogliamo sopravvivere alle prossime decadi con le nostre vite e personalità intatte.  
Copertina della prima edizione di 1984.
Pensi che l’Arte, la Letteratura, etc. abbiano ancora una voce capace di fare la differenza? Può essere udita anche al giorno d’oggi?
Naturalmente l’Arte e la Letteratura fanno la differenza. Sempre di più, in un mondo dominato da un crescente aumento di dichiarazioni da parte di governi e di corporation, le voce dei singoli sono la sola cosa che possa fare la differenza. Solo per fare un esempio che è a portata di mano, qualsiasi sia il motivo per cui movimenti come Occupy o Anonymous abbiano deciso di adattare la maschera di V for Vendetta e la sua etica di base, si può comunque evincere che abbiano preso un po’ d’ispirazione dall’opera originale. E naturalmente, l’Arte e la Letteratura hanno fatto la differenza in aspetti che sono evidenti solamente in quello che non possiamo vedere: quanto sarebbe stato più semplice architettare un regime totalitario in questo Paese se Orwell e Huxley non avessero scritto 1984 e Il Nuovo Mondo?
Penso che il punto cruciale della tua domanda sia se l’Arte e la Letteratura possano ancora essere udite nel clamore della società contemporanea o, per lo meno, se possano essere udite chiaramente e senza distorsione. Il problema, per come lo vedo io, sta nell’idea contemporanea dell’Arte come semplice categoria dell’intrattenimento. Con questa classificazione, è inevitabile che quasi tutta l’arte che è commercialmente di successo (e di questi tempi, se si parla di successo, è da intendersi nel senso di successo commerciale) verrà gestita da un’industria dell’intrattenimento. L’indizio qui è nella parola “industria”, nel senso che un’impresa metterà sempre al primo posto le considerazioni commerciali e, col tempo, condizionerà le persone interessate a lavorare in quel campo a fare lo stesso. Che gusto ci sarebbe, dopo tutto, nel creare qualcosa di eccellente e che riflette perfettamente i sentimenti più intimi di una persona se non ci fosse un modo di mostrare la propria creazione ad un pubblico, qualunque esso sia? Penso che questo sia un approccio profondamente deleterio e ne deploro la sua evidente, facile accettazione da parte di quella che si suppone essere oggi la comunità degli autori. Stante i miei studi su Blake, Bunyan e John Clare, se sei stato così fortunato da aver ricevuto delle doti artistiche allora, esprimerle in modo lucido e chiaro senza alcun compromesso, non è la tua carriera ma è il tuo compito e la tua responsabilità. Se sei un artista, in qualsiasi campo operi, ti dico che è più probabile che tu possa trovare soddisfazione e significato nella tua vita rimanendo fedele a te stesso e all’integrità del tuo processo creativo piuttosto che far prostituire la tua musa col primo cliente all’apparenza benestante che passa per strada. L’Arte e la Letteratura possono fare un’enorme differenza in opposizione alle fanfare supportate dalle corporation che non fanno altro che aggiungere al già assordante livello del rumore culturale.

Tornando a parlare del concetto di “storicità”. In che modo pensi che i cambiamenti epocali possono influire su un’opera d’Arte? Pensi che un’opera d’Arte possegga qualcosa di “essenziale” che è immodificabile e che possa essere apprezzato a prescindere dalla situazione politica oppure è soggetta a cambiare se vista da un vantaggioso punto d’osservazione sia esso in senso spaziale o temporale?
Così come un valido scultore creerà un’opera che potrà essere ammirata, girandoci intorno, da diverse angolazioni nello spazio, allo stesso modo, credo, un autore autentico crea dei lavori intorno ai quali si può girare e guardarli da angolazioni diverse… nel tempo. Se pensi al caso di Shakespeare… che credo sia una persona singola di origine modeste, semplicemente interessata a molti e differenti argomenti, e non un aristocratico o un gruppo di aristocratici e credo bisognerebbe finirla con questa storia… allora, un’opera come La Tempesta, per esempio, sarà percepita come un lavoro completamente diverso a seconda del periodo storico a cui apparterrà il pubblico che la vedrà. Il pubblico le attribuirà dei significati e delle sfumature in relazione al periodo storico, sfumature che non potevano essere incluse tra gli intenti dell’autore ma che, in larga parte, sono generate dal pubblico stesso. Come per qualsiasi opera d’arte, il momento dell’Arte si realizza solo nella connessione tra l’artista e il suo pubblico, con entrambe le parti che contribuiscono ad almeno metà dell’esperienza. Se un’opera riesce a toccare in profondità un’emozione o una verità fondamentale per l’essere umano allora, probabilmente, manterrà la sua importanza a prescindere da quanti anni o secoli saranno trascorsi dalla sua creazione. L’opera d’Arte come oggetto fisico in sé non cambia, naturalmente. Invece è la prospettiva di chi ne fruirà a cambiare e, di conseguenza, cambierà la percezione dell’Arte. Una valida opera d’arte, così come una scultura di valore, presenterà aspetti interessanti da qualsiasi angolo o periodo storico la si guarderà.

Evitando l’argomento del valore o meno degli adattamenti cinematografici dei tuoi fumetti, quello che trovo più irritante è che un’intera generazione di giovani probabilmente entrerà per la prima volta in contatto con le tue idee attraverso cose come il film su Watchmen. Questo come ti fa sentire?
Ad essere onesto, non posso dire d’essere troppo preoccupato. Se uno di quei film… che non hanno davvero nulla a che fare con i miei fumetti… dovesse portarli a dare un’occhiata all’opera originale, allora, se tutto andasse bene, potrebbero trovarla un’esperienza abbastanza soddisfacente da voler provare, forse, qualche altro dei miei lavori. Se preferiscono gli adattamenti cinematografici alle opere originali, allora questo è affar loro. Allo stesso modo, se per alcuni la visione, ad esempio, del film di Watchmen fosse l’unico momento di contatto con le mie idee, allora probabilmente non si sarebbero comunque trovati bene col mio tipo di pubblico. Se una persona è davvero in cerca del tipo di idee che di solito si trovano nei miei fumetti, allora probabilmente finirà con l’imbattersi nei miei lavori, in un modo o nell’altro, ma quello che ne conseguirà dipenderà tutto da lui.

C’è un fenomeno simile che sta avvenendo in ambito socio-economico, ossia i ragazzi che stanno raggiungendo la maggiore età sono cresciuti in un clima tale da accettare acriticamente come perfettamente normali delle cose che trovo politicamente e eticamente ripugnati. Che ne pensi?
Concordo sul fatto che ci siano state parecchie sgradevoli “agende” che sono state seguite e imposte alla gente in queste ultime decadi, ma c’erano delle sgradevoli “agende” che circolavano anche nel dopo guerra, il periodo in cui io sono cresciuto, in cui l’Inghilterra era ancora sotto shock per la perdita dell’Impero. Considerando che sono stato coinvolto in una forma o in un’altra di Radicalismo sin dai tardi anni ’60, devo dire che gli attuali movimenti di protesta sono molto più estesi, molto più consapevoli e molto più socialmente eterogenei di qualsiasi altro movimento che io abbia conosciuto nel XX secolo.
Certo, gli idioti o le vittime di ipnotismo saranno sempre pronti ad accettare acriticamente qualsiasi cosa verrà propinata loro dai loro leader ma, da quello che vedo, la realtà dei fatti sembra indicare che, al giorno d’oggi, si sono sempre meno persone tra i ranghi degli stupidi e degli ipnotizzati rispetto a quanti ce ne fossero durante i miei anni di formazione, o se per quello, durante i tuoi. Inoltre, gli individui singoli sono molto più resistenti di quanto appaiano. Senza eccezioni, le persone più radicali che ho conosciuto hanno avuto, in larga maggioranza, un’educazione ordinaria e sono stati soggetti alla stesse trafila di oppressioni e agli stessi tentativi di lavaggio del cervello di chiunque altro, ma sembra che, su di loro, non abbiano avuto alcun effetto. Al contrario, un simile trattamento sembra aver solo acuito la loro determinazione rendendoli più creativi e intraprendenti… se possibile, più creativi e intraprendenti a quanto lo sarebbero stati se fossero stati allevati in modo più idilliaco e progressista. Sebbene non sono d’accordo con Karl Marx su moltissime questioni, bisogna dargli ragione quando dice che, a volte, “peggio è meglio”. 
Mitch Jenkins e Alan Moore sul set di Jimmy's End.
Prima di abbandonare il tema “film”, che cosa ci puoi dire su Jimmy’s End?
In questo preciso momento è ancora un po’ campato in aria, soprattutto per via dell’approccio che io e Mitch Jenkins abbiamo deciso d’avere sul finanziamento del progetto. Poiché stiamo evitando  i canali tradizionali dell’industria cinematografica e vogliamo restare in possesso dei diritti sull’opera, abbiamo parlato con diverse società del mondo high-tech che avevano mostrato un grande interesse ma circostanze esterne hanno impedito il loro coinvolgimento, come nel caso di un’importante azienda di computer che ha scoperto all’ultimo momento dei problemi nel suo hardware, ossia è saltato fuori che il loro tablet non era in grado di fare molte delle cose che avrebbe dovuto. Al momento c’è un’altra grossa società del settore che sembrerebbe davvero ansiosa di raggiungere un accordo, ma non stiamo certo trattenendo il fiato. Nel frattempo, piuttosto che stare a girarci i pollici, Mitch ed io abbiamo realizzato un corto di 15 minuti, intitolato Act of Faith, che pur essendo una storia auto-conclusiva, funge anche da trailer per Jimmy’s End, che pensiamo sarà lungo sui 40 minuti. Jimmy’s End è pronto a partire, in termini di cast, location, costumi e troupe, non appena qualcuno ci darà quella somma, relativamente minima, di cui abbiamo bisogno. Una volta completato Jimmy’s End, il progetto potrebbe andare avanti in diversi modi ma tutti quanti dovrebbero puntare verso una produzione molto più grande, intitolata The Show, da cui potrebbero derivare, si spera e sarebbe logico accadesse, altri progetti in media diversi. Guardando quello che Mitch ha fatto con Act of Faith, un piccolo esempio di cinema davvero coinvolgente e disturbante, non riesco ad immaginare qualcuno che non voglia vedere Jimmy’s End per sapere come la storia andrà avanti. Ma, come sempre, vedremo quel che succederà.
[Act of Faith e Jimmy’s End sono stati diffusi nel Novembre 2012 sul sito dedicato al progetto (qui), N.dT]

Che cosa sta succedendo alla splendida Dodgem Logic?
Per il momento Dodgem Logic è sospesa, soprattutto perché la politica di non avere pubblicità, di ospitare materiali di qualità e pagare le persone coinvolte si stava rivelando in perdita nonostante i numeri della rivista, in termini di vendite, fossero discreti. Inoltre alla fine della prima stagione, col numero otto, sono sopraggiunti altri impegni. Idealmente, se e quando riuscirò a tirarmi fuori da questi impegni, ci piacerebbe ri-lanciare Dodgem Logic rivedendone la struttura in modo da mantenere la stessa qualità della rivista originale e, al contempo, facendo in modo che sia davvero economicamente sostenibile. Ho ancora tutto il gruppo di Dodgem Logic pronto al minimo cenno e Joe Brown ha fatto un ottimo lavoro nel ripensare la rivista nell’eventualità che le cose girino nel modo giusto e che si torni a pubblicarla. Più guardo a dove mi sembra sia diretta la cultura contemporanea e più penso che Dodgem Logic sia una proposta non solo opportuna ma, sopratutto, necessaria e so che tutte le persone incredibili che hanno contribuito alla rivista la pensano nello stesso modo. La volontà di tornare a pubblicarla è di certo presente, ci rimane solo da pianificare le giuste circostanze. “Spera che tutto finisca bene ma non trattenere il respiro”… credo sia questo il messaggio che sto cercando di dare.

Quando ti ho intervistato per Rapid Eye N.3 (e sembra sia stato una vita fa) avevi appena dichiarato pubblicamente d’essere diventato “un mago”. [1993, in occasione del suo quarantesimo compleanno, N.d.T.] In questi anni come sono cambiate le cose al riguardo? Quando credi sia importante la magia ai giorni nostri?
Per chiunque sotto i vent’anni, l'intervista su Rapid Eye era davvero “una vita fa”, ma so cosa vuoi dire. Il mio uso della magia ha acquisto sempre maggiore significato nel corso degli anni successivi, fino a che - come per l’uso linguaggio, ad esempio - ha pervaso tutta la mia personalità e esistenza al punto che, a volte, ne sono a malapena consapevole. Riguardo quanto la Magia sia importante per me, dato che attualmente sento che la Magia è  una condizione fondamentale della coscienza umana quanto il linguaggio, mi spingerei a dire che la Magia, che comprende in sé la totalità dell'essere e della coscienza, è l'unica cosa importante. La Magia, in sostanza, è ciò che conferisce all'universo il suo significato e ci risparmia da un cosmo inflessibilmente razionalista, in cui abbiamo capito quasi tutti i meccanismi fisici del nostro continuum solo per affermare che l’intero spazio-tempo non ha significato alcuno. L'esistenza, credo, ha il senso e il significato che noi, come coscienti e senzienti prodotti dell’esistenza stessa, scegliamo di attribuirle.
Di sicuro, c’è il mondo concreto e inamovibile, con i sui processi logici ma c’è anche il mutevole e fluido fenomeno delle nostre percezioni individuali e attraverso esse noi animiamo mentalmente l’inerte “argilla” dell’ambiente che ci circonda. Per me la Magia è semplicemente la più ricca, la più utile e gratificante visione del mondo in cui mi sia imbattuto e mi appare oggi più vera e più importante di quanto non fosse diciotto anni fa. Se sei alla ricerca di una visione del mondo che non sia restrittiva, che è intellettualmente soddisfacente e contribuisce alla felicità e all'equilibrio, se non all'estasi vera e propria, a mio parere la Magia è ancora l’unica scelta.
Le interviste precedenti: